mercoledì 24 luglio 2019

COSA FARE PER STARE BENE CON SE STESSI?




ASCOLTA IL TUO CORPO, CONOSCI I TUOI BISOGNI E SCOPRIRAI TE STESSO.

Il primo passo per stare bene con se stessi è CONOSCERSI. Cosa vuol dire conoscersi? Vuol dire imparare a conoscere i propri BISOGNI, quelli più intimi e più profondi. Sono proprio i nostri bisogni, quelli non ascoltati, repressi, dimenticati, ignorati a provocare malessere e disagio. Ascoltare e dare voce ai tuoi bisogni è il primo passo per il tuo CAMBIAMENTO INTERIORE, per la tua crescita personale ed emotiva, per il tuo BENESSERE.

Ma dove possiamo ritrovare i nostri bisogni?
I bisogni dell'anima li ritroviamo nella natura e nella creatività. Perciò vivi la natura e sii creativo.
La creatività e il contatto con la natura ci rendono vitali, unici e autentici, ci allontanano dalla perfezione. Attraverso la natura e la creatività puoi comunicare le tue emozioni ed esprimere te stesso, liberamente e senza giudizio. 
La creatività ti permette di recuperare quella componente ludica e corporea, fomdamentale per ascoltare ed esprimere le tue emozioni. Questo arricchisce la tua auto-conoscenza, la consapevolezza di te, il rapporto con te stesso e con gli altri.
La creatività ti permette di sperimentare e sperimentarti.
Perciò sii creativo in tutto quello che fai...danza, canta, dipingi, suona, scrivi..
La natura e la creatività sono quindi fondamentali per la nostra esistenza proprio perché ci permettono di esplorare e ricontattare il nostro bambino interiore e quindi di recuperare la nostra dimensione corporea, irrazionale ed emotiva. Ecco perché è così importante ascoltare il nostro corpo.

Il nostro CORPO ci parla, a suo modo ci parla. Bisogna imparare ad ascoltarlo, altrimenti sarà il disagio o il dolore a gridare più forte per lui. Dietro ogni disagio, dietro ogni dolore c'è quasi sempre un’emozione non espressa o non ascoltata, c’è quasi sempre un bisogno non espresso, un bisogno non ascoltato.
Sentimenti negati, emozioni non espresse, bisogni non ascoltati diventano inevitabilmente muti e più diventano muti, più cresce il loro bisogno di farsi ascoltare, facendolo a volte nei modi peggiori.
Se c'è qualcosa dentro di noi che vuole VIVERE, e questo qualcosa trova in noi delle resistenze, questo qualcosa si tramuterà prima o poi in un disagio, in ansia, panico o sofferenza.

Perciò ogni tanto fermati. Rallenta.
Respira. Ascoltati. 
Chiudi gli occhi, respira profondamente e ascolta quello che il tuo corpo vuole dirti...


Siamo abituati a pensare tanto, a volte troppo, a cercare le nostre risposte tra i nostri mille pensieri.
Ma spesso i nostri pensieri ci confondono, ci appannano. 
Le risposte che cerchiamo possiamo ricercarle e ritrovarle a volte solo nel nostro corpo, attraverso il nostro corpo, nel nostro SENTIRE, nel sentire le nostre emozioni, le nostre paure, nel sentire quello che il nostro corpo ci dice. 
Il nostro corpo non ha voce, ma parla a suo modo e noi dobbiamo imparare ad ascoltarlo e sentirlo, perché quello che sentiamo é sempre pieno di VERITA’.

Lo scopo della nostra vita, così come lo scopo di un percorso psicologico, è la SCOPERTA DI SÉ, ovvero il recupero della propria anima.
La scoperta di sé avviene attraverso tre passi:
1) Il primo è la CONSAPEVOLEZZA DI SÉ. Questo significa sentire ogni parte del proprio corpo e tutti i sentimenti e le emozioni che possono sorgere in esso.
2) Il secondo passo è l' ESPRESSIONE DI SÉ. Se i sentimenti non trovano espressione vengono repressi e l’individuo perde contatto con il proprio sé. Perciò è fondamentale trovare il modo per esprimere se stessi e le proprie emozioni.
3) Il terzo passo è la PADRONANZA DI SÉ. Quando si raggiunge questa fase, l’individuo sa che cosa sente ed è in contatto con se stesso. Ha quindi accresciuto le sue consapevolezze. Ha anche la capacità di esprimersi adeguatamente. Ha il dominio di se stesso. Non ha paura di essere se stesso. E’ libero di ESSERE.

Purtroppo capita spesso che ci allontaniamo da noi stessi, dai nostri reali bisogni, perdendo di vista il nostro vero Sé, la nostra identità. Ma esistono tanti modi per ritrovare se stessi.
Il supporto psicologico è uno di questi, poichè può aiutarti ad accrescere le tue consapevolezze, la tua ricerca interiore, la tua forza interiore. 
Può condurti alla RICERCA DI TE.
E tu cosa fai o cosa stai facendo per ricercare te stesso/a?





dott.ssa Margherita Giordano
Psicologa clinica e dell'età evolutiva

Ricevo su appuntamento a Milano (via Camillo Hajech 10)
e Online (videochiamata Skype,Meet)

Per informazioni e per fissare un incontro conoscitivo:

3206397160
artecorpomente@live.it




giovedì 2 maggio 2019

Ascoltiamo la nostra paura, sarà lei a guidarci lungo i nostri limiti



I nostri limiti hanno a che fare con le nostre PAURE.
Se ci poniamo dei limiti troppo ristretti non cresciamo, non ci diamo la possibilità di guardare oltre. Tutto quello che sta oltre ci è sconosciuto e l'ignoto ci spaventa, sempre. Questo ci blocca, ci fa rimanere fermi e non ci fa evolvere. Se al contrario ci poniamo dei limiti troppo ampi rischiamo di non crescere ugualmente, perchè iniziamo a pretendere troppo da noi stessi e se un obiettivo non riusciamo a raggiungerlo, reagiamo a questo come una sconfitta o un fallimento. La sensazione di fallimento ci blocca perchè alimenta quella paura di sbagliare un'altra volta, di non farcela, accresce la paura di riprovarci ancora, di rimettersi in gioco.

Allora cosa possiamo fare per superare i nostri limiti?

Siamo abituati a credere che per superare i nostri limiti occorre impegno, impegno, impegno, determinazione, determinazione, e ancora impegno, impegno...ma che gran fatica! Non tutto si ottiene con impegno e determinazione!  Innanzitutto i nostri limiti non vanno superati ma vanno AMPLIATI un pò per volta, un passo alla volta. Il primo passo è quello di CONOSCERE I NOSTRI LIMITI. Il nostro strumento e la nostra risorsa più efficace per conoscerli sai qual è? E' proprio la PAURA. 

La paura sa farci camminare lungo i nostri limiti, non prima, non oltre. Lungo i nostri limiti, proprio li, la zona appena prima dei nostri limiti. Proprio da li possiamo ampliare i nostri limiti. Proprio qui, in questo punto, possiamo imparare a crescere, evolvere, progredire.

Perciò non possiamo ampliare i nostri limiti se prima non sperimentiamo le nostre paure, il nostro coraggio, la nostra curiosità.

Attraverso la paura possiamo allargare la linea dei nostri limiti e trovare il coraggio di fare il primo passo e poi il prossimo passo ancora.

E' la paura, proprio la paura a renderci coraggiosi. E' proprio la paura che ci permette di guardare e conoscere i nostri limiti. E' proprio la paura a guidarci lungo i nostri limiti. E' proprio la paura che ci permette di sperimentare il nostro coraggio e grazie al coraggio possiamo ampliare i nostri limiti.
Quante risorse sa fornirci la paura, eppure abbiamo tutti PAURA DELLA PAURA! Perchè? Perchè siamo abituati a considerare la paura come un'emozione negativa e quindi nociva per noi, un'emozione da evitare quindi. In realtà la paura è un' EMOZIONE e in quanto tale va accolta, riconosciuta, accettata, vissuta. Ascoltiamo la nostra paura e sicuramente da qualche parte ci porterà!
La paura non va quindi assolutamente evitata perchè se evitiamo la paura perdiamo ogni preziosa occasione di andare oltre, di guardare oltre, di vivere oltre i nostri limiti. Se evitiamo la paura rischiamo di rimanere fermi, di non crescere, non evolvere, e soprattutto rischiamo di non conoscere le infinite possibilità del nostro Sè, del nostro Essere.

Riporto qui di seguito un bellissimo monologo di un film, che adoro, "Happy Family".
Il Monologo sulla PAURA. 

"Il problema è che abbiamo paura, basta guardarci. Viviamo con l'incubo che da un momento all'altro tutto quello che abbiamo costruito possa distruggersi.
Con il terrore che il tram su cui siamo possa deragliare.
Paura dei bianchi, dei neri, della polizia e dei carabinieri; con l'angoscia di perdere il lavoro ma anche di diventare calvi, grassi, gobbi, vecchi, ricchi.
Con la paura di perdere i treni e di arrivare tardi agli appuntamenti;
che scoppi una bomba, di rimanere invalidi;
di perdere un braccio, un occhio, un dente, un figlio, un foglio. Un foglio su cui avevamo scritto una cosa importantissima.

Paura dei terremoti, paura dei virus;
paura di sbagliare, paura di dormire;
paura di morire prima di aver fatto tutto quello che dovevamo fare.
Paura che nostro figlio diventi omosessuale, di diventare omosessuali noi stessi.
Paura del vicino di casa, delle malattie, di non sapere cosa dire;
di avere le mutande sporche in un momento importante.

Paura delle donne, paura degli uomini;
paura dei germi dei ladri, dei topi e degli scarafaggi.
Paura di puzzare, paura di votare, di volare;
paura della folla, di fallire;
paura di cadere, di rubare, di cantare;
paura della gente;

Paura degli altri".




Dott.ssa Margherita Giordano
Psicologa clinica - Milano
3206397160
artecorpomente@live.it




venerdì 5 aprile 2019

I MANDALA: TERAPIA PER L’ANIMA





Mandala in sanscrito significa “centro, circolo, anello magico, cerchio”. Il termine, in origine (intorno al 1500 a. C) si riferiva agli elementi celesti quali il Sole e la Luna.
I mandala sono originari dell’India, poi si sono presto diffusi nella cultura orientale e, più tardi, in quella occidentale, principalmente grazie allo psicoanalista Carl Gustav Jung.
Jung studiò i Mandala per oltre 20 anni e scrisse quattro saggi sull’argomento. Per comprendere l’interpretazione mandalica di Jung occorre riferirsi ai concetti di inconscio collettivo e di archetipo. La coscienza umana oltre a contenere un inconscio individuale ospita anche l’inconscio collettivo costituito da archetipi.
Per Jung i Mandala sono uno dei migliori esempi dell’operazione universale di un archetipo cioè dell’azione di tutti quei temi dominanti e presenti nell’inconscio collettivo di tutti noi. Il Mandala rappresenta uno schema ordinatore che si sovraimpone al caos psichico, così che l’insieme che si sta componendo viene tenuto insieme per mezzo del cerchio che contiene e protegge.
Ma che cosa rende queste rappresentazioni tanto speciali e utili? I Mandala rappresentano una vera e propria “terapia dell'anima”, sono figure senza tempo e per questo sono il simbolo dell’universalità, della totalità della natura e del cosmo. La forma circolare rimanda proprio al simbolo dell’universo e indica la ciclicità delle stagioni, della vita, dell’esistenza: tutto scorre e tutto muta, niente è permanente.
Essendo parte della natura, anche l'essere umano è dinamico e in continuo mutamento: per essere in armonia con se stessi e con il mondo occorre lasciar progredire l’evoluzione senza ostacolarla con l’attaccamento a modelli di vita, accettando di attraversare anche momenti di disgregazione per permettere la ricostruzione futura.. Questo processo viene chiamato da Jung “individuazione”, ovvero la presa di coscienza di Sé. In questo senso è emblematica proprio la tradizione di creare i Mandala con la sabbia: le tracce sulla sabbia vengono distrutte facilmente e questo permette di costruirne sempre di nuove, proprio come avviene nella vita. In alcune tradizioni i mandala vengono realizzati e poi bruciati, proprio per ricordarci l’impermanenza di ogni cosa. Occorre quindi imparare l’arte del saper “lasciar andare”. I Mandala possono insegnarci a vivere in maniera fluida e armonica questo processo di costruzione/distruzione/ricostruzione.
I mandala secondo la tradizione orientale sono una rappresentazione dell’universo. Il Mandala che disegnamo o coloriamo diventa una rappresentazione del nostro mondo interiore, del nostro stato d’animo in quel momento, del nostro Sè. Rappresenta quindi un mezzo efficace per raggiungere un alto grado di consapevolezza.
Il mandala è un’immagine simbolica basata su figure geometriche come il cerchio e il quadrato, che rimanda alla sfera spirituale. Nella tradizione tibetana un Mandala è composto dai 5 elementi che compongono il nostro universo:
La terra, giallo – fermezza, solidità, fiducia: dà la vita
L’acqua, bianco – fluidità, flessibilità: armonizza la vita
Il fuoco, rosso – sole, calore,vitalità: matura la vita
L’aria, verde – respiro della terra, scambio, comunicazione. Anima la vita
Lo spazio, blu – l’infinito, la libertà. Accoglie la vita

Come meditare con i mandala?
Capita spesso nella vita di essere sopraffatti da ansie e preoccupazioni e questo comporta un allontanamento dal “tuo centro” . Il Mandala rappresenta una vera e propria meditazione che ti permette di ritrovare il tuo benessere, il tuo centro, mettendoti in contatto con te stesso e  la tua interiorità.
Io utilizzo questo strumento anche in studio con i miei pazienti, sia durante gli incontri individuali che durante i laboratori di gruppo. Una volta appreso, puoi utilizzzarlo anche autonomamente a casa o dove vuoi tu.
Voglio innanzitutto dirti che non ci sono regole per colorare un mandala. Non esistono comportamenti giusti o sbagliati per colorare, infatti ciò che stai facendo sarà unico e dovrà rispecchiare te stesso. Perciò non sforzarti a giudicare o tantomeno a interpretare il tuo mandala. Non c’è nulla da interpretare, ma è un’occasione creativa per ascoltare le tue emozioni e il tuo mondo interiore.
Puoi ritagliarti il tempo per colorare il tuo mandala quando vuoi, l’ideale sarebbe un’oretta verso sera per scaricare lo stress accumulato durante la giornata.
La pratica di colorare un mandala consente alla tua mente di rilassarsi e di prendersi una pausa dai pensieri quotidiani, dalle ansie e dalle preoccupazioni. Inoltre l’atto di colorare ti consentirà di sollecitare l’emisfero destro del cervello, che è la parte creativa, la parte che spesso trascuri nella vita quotidiana. Solleciterai quindi anche la parte irrazionale, istintiva e questo ti aiuterà ad entrare maggiormente in contatto con te stesso.
Colorare il mandala ti permetterà di arrivare allo stato “dei sogni ad occhi aperti”, al cosiddetto momento “alfa” in cui ti sentirai rilassato, estraniato e lontano dai pensieri che ti stressano. In questa fase riuscirai ad entrare in contatto con te stesso e ti immergerai in un processo di introspezione, dove potrebbero nascere nuove idee, nuovi punti di vista, nuove cose che potrebbero motivarti ad affrontare al meglio la tua vita.

Come colorare un mandala e rilassarsi? Ecco alcuni semplici passaggi da seguire:

- Cerca un luogo tranquillo dove potrai dedicarti al tuo mandala senza che nessuno ti disturbi. Spegni la tv, cellulare, computer. Se non ti piace stare in silenzio, puoi optare per una musica zen rilassante.
- Scegli il tuo mandala che più ti interessa e che più richiama la tua attenzione. Puoi cercare su internet o sfogliare un libro di mandala e scegliere quello che più ti attrae. Cerca di fare una scelta istintiva ma consapevole.  Una volta scelto osservalo per circa 5 minuti, ti farà rilassare e gradualmente raggiungere la tua calma interiore. Poni l’ attenzione sulle emozioni e le sensazioni che il mandala, ancora non colorato, ti rimanda.
-Colora il mandala: Una volta scelto e osservato il tuo mandala, puoi iniziare a colorarlo con i colori che vuoi tu (pennarelli, colori a cera, colori a matita, tempera) e iniziare a…rilassarti. Noterai fin da subito i suoi benefici. Inoltre puoi anche decidere di creare tu il tuo mandala. Quindi dovrai prima creare il mandala e poi iniziare a colorarlo.
Quando ti sentirai rilassato, chiudi gli occhi e fai respiri profondi. Quando ti sentirai pronto puoi iniziare a colorare. Dai spazio al tuo istinto creativo. Non pensare troppo, sentiti libero di colorare come vuoi.
Concentrati sul disegno. Se durante la colorazione ti passeranno nella mente le tue preoccupazioni che ti creano ansia, sposta l’attenzione sui colori, sulle forme. Dedicati totalmente al tuo mandala.
Quando hai finito, guarda il tuo disegno. Fai attenzione ai colori che hai usato, alle sfumature.
-Scrivi su di un foglio come ti senti ora e come ti sentivi prima. A cosa hai pensato mentre coloravi il mandala. Cosa provi nel guardare il tuo mandala?
-Potrai appendere il tuo mandala nell’angolo della tua casa dove ti senti più tranquillo. Quando sarai stressato, prenditi dei momenti di pausa e guarda il mandala. Focalizzati sulle forme e i colori e libera la tua mente. Goditi la sensazione di leggerezza e libertà che esso ti regalerà. Questo stato meditativo ti aiuterà a rilassare tutto il corpo, a calmare la mente e ad avere nuove idee.

Gli effetti benefici dei mandala e della meditazione mandalica sono innumerevoli. 
Ti aiutano infatti a:

Favorire il rilassamento e indurre sensazioni di tranquillità
Facilitare la meditazione
Prevenire e gestire lo stress emotivo
Ridurre i livelli di ansia
Aumentare la consapevolezza di sé
Favorire l’autoconoscenza
Sviluppare la capacità di concentrazione
Diminuire le tensioni muscolari
Migliorare la creatività
Facilitare il contatto con il proprio mondo interiore
Stimolare la capacità di ascolto interiore

Se ancora non conoscevi il magico mondo dei Mandala, inizia subito a sperimentare te stesso/a e la tua creatività! Se vuoi accrescerne i suoi benefici contattami! Un professionista può condurti ad una maggiore esplorazione del Sé attraverso i Mandala.

Concludo questo mio articolo riportando un bellissimo estratto di Alce Nero, sciamano della famiglia Lakota Sioux nell’America del Nord.


“Ogni cosa che fa il Potere del Mondo è fatta in cerchio.
La volta del cielo è rotonda, e ho sentito che la terra è rotonda come una palla, 
e così sono tutte le stelle.
 Il vento, al massimo del suo potere, gira vorticosamente. Gli uccelli fanno il nido in forma circolare perché la loro è la nostra stessa religione. Il sole sale e scende lungo il cerchio.
 La Luna fa lo stesso ed entrambi sono rotondi. Anche le stagioni formano un grande cerchio nel loro trasmutare e sempre ritornano laddove furono. La vita di ogni uomo è un cerchio dalla fanciullezza alla fanciullezza e così è ogni cosa ove si muove il potere.”




dott.ssa Margherita Giordano
Psicologa clinica, 
esperta in ArtCounseling e tecniche di rilassamento.
3206397160
artecorpomente@live.it



lunedì 11 marzo 2019

MALATTIE CRONICHE: come gestire lo stress emotivo e psicologico?


Le malattie croniche sono tutte quelle patologie spesso invalidanti che presentano sintomi costanti nel tempo e per le quali le terapie farmacologiche non sono quasi mai del tutto risolutive.
Le malattie croniche più diffuse sono ad esempio la sclerosi multipla, il morbo di Parkinson, il diabete, l’artrite reumatoide, AIDS, i tumori maligni, le malattie cardiovascolari, le demenze, le malattie respiratorie croniche, la tubercolosi, la condizione di chi è in attesa di trapianto, la fibrosi cistica, iperparatiroidismo e ipoparatiroidismo, il lupus eritematoso sistemico (LES) e tutte le malattie autoimmuni, l’anemia emolitica, l’insufficienza  renale cronica, l’epilessia, la fibromialgia, l’emicrania e molte altre.

Dal punto di vista psicologico, la malattia cronica comporta un profondo e radicale cambiamento della propria vita e della percezione di sè. Questo cambiamento determina la ricerca di un nuovo significato di se stessi, della vita, della propria identità. Chi si ammala deve necessariamente e inevitabilmente ridimensionare le proprie abitudini, la propria quotidianità, le aspettative sul futuro, i propri progetti.
I pazienti inoltre subiscono un enorme cambiamento del ruolo all’interno della famiglia e della società. L’inizio di un percorso di cura stabile e continuativo nel tempo, come una chemioterapia o la dialisi, modifica le abitudini personali e familiari. Questo è fonte di stress psicologico ed emotivo che condiziona negativamente la persona a livello sociale, familiare, lavorativo, ma soprattutto a livello psicologico ed emotivo.
Infatti le persone che soffrono di patologie croniche peggiorano inevitabilmente anche il loro stato di salute psicologica. Spesso, chi vive l’esperienza della malattia, manifesta un’intensa sofferenza psicologica, depressione, ansia, attacchi di panico,  elevato stress che rendono ancora più difficoltoso affrontare la nuova condizione di vita ed il decorso della malattia.
Lo stress fisico, mentale ed emotivo coinvolge inoltre non solo il singolo individuo ma tutta la famiglia e tutte le persone che se ne prendono cura (i caregivers).

Le principali cause di disagio psicologico nei pazienti con malattie croniche sono:
- il senso di perdita della funzionalità del proprio corpo
- la dipendenza dalla terapia, dagli operatori medici e dai familiari, determinando la perdita, in parte, della propria autonomia
- un impatto diverso sulla vita sociale e sessuale
- il senso di rabbia e frustrazione, la paura e l’angoscia legata alla perdita di controllo sulla propria vita e al cambiamento esistenziale che la patologia comporta.

Ecco perché è fondamentale un intervento psicologico da avviare parallelamente alla terapia medico/farmacologica. Il supporto psicologico rappresenta un'ulteriore risorsa per accrescere il Benessere della persona poichè permette di:

Favorire il processo di accettazione e di adattamento alla nuova condizione di vita.

Gestire e regolare le proprie emozioni di rabbia, paura, angoscia e frustrazione. E’ necessario attraverso un lavoro terapeutico imparare a saper accogliere, accettare, ascoltare e vivere tutte le emozioni, anche quelle più spiacevoli, per imparare poi a saperle gestire nella quotidianità. 

Contenere i sintomi di sofferenza psicologica, quali ansia e depressione (sono i più frequenti).

Favorire l’aderenza ai piani di cura e la partecipazione attiva del paziente alla sua vita.

- Migliorare le capacità relazionali.
Poiché l’isolamento sociale risulta essere una reazione di chiusura al mondo esterno molto frequente, è necessario continuare a coltivare i rapporti con gli amici e con gli altri familiari per aumentare la rete sociale e il bacino di risorse.

Accrescere l'autostima.
La condizione di malattia cronica spesso può condurti a non credere più in te stesso e nelle tue capacità. Ma nonostante tutto, tu vali! Tutti abbiamo le nostre abilità da riconoscere, da mostrare e da utilizzare per raggiungere i nostri obiettivi, soddisfare i nostri sogni e i nostri desideri. Anche tu puoi!
Lo psicologo può aiutarti a ricercare le tue risorse interiori e le tue capacità più nascoste per farle emergere e utilizzarle al meglio. Può aiutarti a riscoprirti, a ritrovarti a reinventarti.

- Fornire un supporto genitoriale.
I genitori sono spesso le persone più vicine alla persona disabile che vivono quotidianamente tutte le situazioni più critiche e problematiche. Per questo è importante agire e intervenire anche sui genitori attraverso attività psico-educative, con l'obiettivo di:
- accrescere le competenze genitoriali, la resilienza, l'autostima, l'autoefficacia
- gestire eventuali problemi comportamentali del proprio figlio malato
- ridurre lo stress fisico e mentale
- aumentare le strategie di coping
- accrescere il benessere psicofisico.
- accrescere il benessere dell'intera famiglia

Come possono essere strutturati gli interventi di tipo psicologico?
Sostegno psicologico individuale quindi rivolto alla singola persona o al singolo genitore (caregiver).
Gruppi di auto-aiuto per favorire la condivisione, il confronto con persone che affrontano lo stesso problema.
Laboratori espressivi e creativi. Si tratta di laboratori di gruppo condotti e mediati da un terapeuta. Si utilizzano l'Arte, la creatività e l'atto creativo come strumenti per esprimere le proprie emozioni e paure. Sono uno strumento di crescita personale, di autoconoscenza, di consapevolezza di sè.
- Inoltre potrebbe essere molto utile attivare interventi psicologici in ambito domiciliare. A volte la risposta alla diagnosi o al processo di cura può essere fortemente disfunzionale, portando il paziente a rifiutare il contatto con i medici curanti. E’ un intervento all’interno del setting domiciliare che aiuta la persona a contenere la sofferenza psicologica e a riattivare le risorse necessarie per fronteggiare gli eventi.
Quindi attraverso un percorso di sostegno psicologico il paziente può imparare ad esprimere il proprio disagio e le proprie emozioni con modalità più funzionali, può ridurre la sintomatologia-ansioso depressiva, può fronteggiare i cambiamenti del corpo, dell’identità, della percezione di sé, le eventuali difficoltà relazionali e sessuali e sentire di avere un ruolo più attivo migliorando la qualità di vita.
Importantissimo è anche allegerire il carico emotivo dei familiari e dei partner, che diventano così una delle risorse a disposizione del paziente, ma non l’unica, per il suo sostegno emotivo.




dott.ssa Margherita Giordano
Psicologa clinica e dell'età evolutiva.

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lunedì 18 febbraio 2019

COME AFFRONTARE UN LUTTO O UNA PERDITA



Quando parlo di lutti e perdite non mi riferisco solamente alla morte fisica di una persona, ma anche ad un abbandono o ad una relazione amorosa terminata. Anche essere lasciati dal proprio partner può essere vissuto come un lutto, poiché questo evento viene vissuto come tale, si viene pervasi da emozioni e reazioni molto simili al lutto. Si sperimentano emozioni spiacevoli e la vita è sottoposta a profondi cambiamenti esistenziali, emotivi e psichici a causa della mancanza/scomparsa/abbandono/morte di quella determinata persona. Quindi questo articolo può essere utile per capire come elaborare qualsiasi tipo di perdita o lutto.

La perdita di una persona amata è un dolore immenso, indescrivibile, devastante, fonte di grande tormento e angoscia. Il dolore è inevitabile. A volte il dolore è talmente intenso che può far credere di essere impazziti. La sofferenza investe ogni cosa, poiché il dolore intacca la visione del mondo e soprattutto quella del Sé.

Durante un lutto o una perdita, il mondo interiore diventa arido, ostile, freddo e spesso questo induce a diverse reazioni:

Shok iniziale. Stordimento, confusione, perdita dell’appetito, pianti incontrollabili, incubi, tremori, disperazione, terribile senso di vuoto, paure, cambiamenti improvvisi di umore.

Isolamento. Ci si chiude in un mondo privato perché il mondo interiore è percepito vuoto e desolato e perciò si preferisce non condividere nulla con il mondo esterno. Questo accade soprattutto se non ci sono altre figure di attaccamento a cui rivolgersi spontaneamente per ricevere supporto e conforto.

Ansia e fobia. Quando si perde una persona amata si è terrorizzati dall’idea di perdere anche l’altro.

Rabbia, ostilità e aggressività. Ci sono studi che dimostrano un vero e proprio cambiamento cerebrale quando si affronta un lutto o una perdita. Il dolore e la sofferenza provocano una forte carenza di ossitocina e oppiacei. Queste sono sostanze chimiche rilasciate durante le interazioni tra persone che si amano profondamente. In seguito ad un lutto o una perdita queste sostanze diminuiscono drasticamente, causando un’acuta sofferenza psichica. Il calo di oppiacei scatena a sua volta il rilascio di sostanze di natura opposta: l’acelticolina che sollecita uno stato di rabbia e ostilità.

Negazione del dolore. La sofferenza è intollerabile perciò si cerca inconsciamente di difendersi dal dolore, negandolo. Ma questo atteggiamento di negazione può portare man mano ad un distacco dalla realtà. Privandosi di alcune emozioni, si rischia di rinunciare all’essenziale contatto con se stessi. E’ importante e fondamentale vivere tutte le emozioni, anche quelle più brutte e spiacevoli. La negazione a lungo andare può provocare altre conseguenze quali: depressione, ansia, fobia sociale, isolamento, disturbi di alimentazione, disturbi del sonno.

Comportamenti regressivi nei bambini. E’ molto frequente che compaiano nei bambini disturbi dell’apprendimento, enuresi notturna, difficoltà nel linguaggio, attaccamenti morbosi. E’ importante che in questi casi il bambino non venga assolutamente punito. Bisogna sapere che lo stadio evolutivo in cui si trovava (dalla dipendenza all’indipendenza) possa subire un’inversione, una regressione a causa del lutto. Il bambino torna a regredire in uno stato di dipendenza e questo comportamento è un modo per ricostruire la fiducia nelle relazioni umane per sentirsi poi libero di tornare alla sua indipendenza.

Ma perché si prova così tanto dolore dopo un lutto o una perdita?
Una prima spiegazione è data da un fattore fisiologico e cerebrale come prima descritto, ovvero dal cambiamento degli ormoni e delle sostanze chimiche all’interno del cervello.
Una seconda spiegazione è data dalla teoria psicologica dell’attaccamento.
L’attaccamento è la tendenza umana di avvicinarsi agli altri esseri umani per creare legami emotivi e significativi. Siamo geneticamente programmati in modo da aver bisogno di attaccamenti primari che danno un senso alla nostra vita, alla nostra esistenza. Ecco perché la nostra primaria reazione di fronte alla morte o all’abbandono della nostra persona amata è un dolore atroce, intenso, insopportabile.

Come elaborare il lutto o la perdita?

-      Prima di tutto è necessario vivere tutte le emozioni del momento, nonostante siano brutte, dolorose e spiacevoli. Bisogna viverle tutte, accoglierle, accettarle.
Non negare il dolore. Il dolore va vissuto pienamente. Il mancato sfogo di tutte le emozioni e sensazioni può causare ulteriori problemi psicofisici ed emotivi.
L’unico modo per smettere di soffrire è proprio quello di riuscire a soffrire.
Pe facilitare questo processo è molto utile ed efficace PARLARE. Se risulta difficile tirare fuori la parola, è efficace utilizzare altri strumenti alternativi che aiutino ad esprimere e comunicare le proprie emozioni come ad esempio il disegno, la scrittura, attività artistiche e creative.

Non è assolutamente utile rispondere alla persona che sta vivendo un lutto con luoghi comuni o consigli banali come ad esempio “Dai, passerà!”. Questa è solo un’illusione e non lo aiuta a prendere contatto con se stesso e la realtà.

-       E’ importante assistere al funerale, poiché è un processo fondamentale da vivere, sia per gli adulti ma anche per i bambini. Non è necessario e utile “proteggere” i bambini dal dolore. Il funerale costituisce un processo di chiusura fondamentale che può dare anche sollievo. Pensiamo che il funerale potrebbe turbare il bambino. E invece no. Attraverso il funerale l’adulto o il bambino può trovare un modello per elaborare il  lutto. Inoltre vedere il comportamento di chi è presente al funerale può aiutarlo a normalizzare il suo dolore, il suo immenso desiderio di piangere. Può aiutarlo a condividere le sue emozioni, a renderlo più consapevole di cosa sia realmente la morte e quindi più in grado di elaborare il suo dolore.

-       Per affrontare ed elaborare il dolore abbiamo bisogno dell’altro. Il lutto è un momento troppo difficile per poterlo vivere da soli. “Non è possibile elaborare completamente un lutto senza la presenza di un’altra persona” (Bowlby, 1973). Quindi anche se abbiamo perso una persona amata bisogna cercare un’altra persona che possa rappresentare per noi una nuova figura di riferimento, una nuova figura di attaccamento.

Quando cercare l’aiuto professionale e un supporto psicologico?

  • Quando si è completamente da soli ad affrontare il lutto e il dolore. Come appena descritto, per superare un dolore così grande e intenso abbiamo bisogno di condividerlo con gli altri.
  • Quando la negazione delle emozioni blocca e non permette di proseguire normalmente la propria vita, compromettendo la quotidianità, il lavoro/scuola, le relazioni sociali, la salute psico-fisica. Spesso la negazione, il non accettare e il non vivere le proprie emozioni può provocare ulteriori problemi come ad esempio nei casi più gravi la depressione clinica o l’idea di suicidio. Quando si reprimono emozioni e sentimenti si rischia di compromettere ogni passione per la vita. Sintomi tipici della depressione sono:
- stato depressivo per la maggior parte della giornata
- diminuzione delle manifestazioni di piacere e interesse
- cambiamento significativo del peso corporeo
- disturbi del sonno, insonnia
- senso di fatica costante
- pensieri di morte e di suicidio
- emozioni e pensieri negativi verso se stessi, verso gli altri, verso il futuro, la vita.

  • Quando la sensazione di stordimento e di tutti i sintomi psico-fisici negativi continuano per un periodo troppo lungo o più lungo del normale.

  • Quando la nostalgia per la persona amata che non c’è più viene trasferita inconsapevolmente su qualcosa o qualcuno che può diventare oggetto di ossessione. Ad esempio il continuo desiderio di qualcosa di nuovo. Ovviamente non esiste nulla che possa risultare davvero soddisfacente. Può capitare che si cada nella trappola dell’alcol o della droga, per affogare il proprio dolore e le proprie emozioni negative.

In questi casi si deve assolutamente affrontare la situazione con estrema urgenza e serietà cercando un supporto psicologico.
Attraverso un intervento psicologico c’è l’opportunità di raccontare il proprio dolore, la propria tristezza, la propria angoscia attraverso un linguaggio più ricco e articolato e quindi non solo attraverso la parola ma soprattutto utilizzando la comunicazione NON verbale. Per esprimere ed elaborare le proprie emozioni si utilizzano il disegno, la scrittura, il gioco, tecniche espressive, artistiche, creative e immaginative.
La terapia diventa quindi luogo e spazio di condivisione, supporto, crescita e rinascita.




Dott.ssa Margherita Giordano
Psicologa clinica e dell'età evolutiva.

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COME SUPERARE LA FINE DI UNA RELAZIONE D’AMORE




La fine di una storia d’amore è senza dubbio una tra le esperienze più dolorose e sconvolgenti, paragonabile ad un lutto. La fine di una storia d’amore implica inevitabilmente una PERDITA che a sua volta implica un profondo CAMBIAMENTO personale e relazionale, un cambiamento profondo nella propria vita.
All'interno di una relazione d’ amore ci sono emozioni, storie, storie condivise, progetti e obiettivi comuni, legami familiari allargati, gioie e dolori, routine quotidiane, aspettative e quando una storia d’amore termina tutto questo viene a mancare, all'improvviso. La perdita e il cambiamento sono le condizioni che maggiormente mettono a dura prova l’essere umano. Ecco perché la fine di una relazione d’amore è un evento così difficile da superare ed elaborare.
All'inizio ci si sente fragili, spaventati, disorientati e questo ci rende molto vulnerabili emotivamente.
Come affrontiamo questa esperienza dipende da molti fattori: da quanto eravamo preparati, dalle risorse interne che possediamo, dall'aiuto esterno che potremmo eventualmente ricevere, dalla storia personale. Inoltre un fattore molto importante da non sottovalutare è il tipo di attaccamento che abbiamo instaurato con i nostri genitori durante il nostro percorso di vita. Il tipo di legame genitoriale che abbiamo interiorizzato incide molto sulla ricerca del nostro partner, sulla modalità di instaurare una relazione amorosa e sull’elaborazione di una eventuale perdita. Proprio per questo non tutti siamo vulnerabili allo stesso modo, e non sempre tutti reagiamo ugualmente allo stesso dolore.
In questo mio articolo ti illustrerò alcune linee guida generali per superare ed elaborare il dolore della perdita:

-          Cerca di darti del tempo. La fine di ogni relazione richiede sempre un certo periodo di tempo per elaborare quanto è avvenuto. Perciò non pretendere di risollevarti troppo in fretta. Anche il dolore è terapeutico, nel senso che per superare il dolore è necessario affrontarlo, accettarlo e non evitarlo. E questo richiede tempo. Ciò non significa non provare a distrarsi e fare altro, anzi, ma significa dare il giusto valore al proprio dolore, significa “saper stare” con il proprio dolore. Questo ti permetterà di conoscerti meglio, di capire come reagisci al dolore e come lo gestisci. Solo così sperimenterai meglio te stesso e le tue potenziali risorse.

-          Prenditi cura di te stesso/a. Non dimenticarti che TU sei la persona più importante della tua vita, perciò dai valore e importanza alla persona che sei. Cerca di non trascurarti e non annullarti. Coltiva le tue passioni, i tuoi hobby, le tue amicizie, la tua famiglia, le relazioni sociali.

-      Chiediti cosa hai imparato dalla relazione. Per quanto dolorosa possa essere la fine di una relazione, l’esperienza può essere fonte di profondi insegnamenti ed un prezioso momento di crescita personale. Può essere un'ottima occasione per conoscere maggiormente se stessi, il modo in cui ci relazioniamo e ci "attacchiamo" all'altro. La fine di una relazione può essere un'ooportunità di riflessione, auto-conoscenza, nuove consapevolezze, trasformazione, crescita personale ed emotiva.

-          Non colpevolizzarti. Se una relazione finisce la “colpa” è sempre di entrambi, perciò che tu abbia lasciato o sia stato lasciato poco importa. Col tempo possono insorgere incompatibilità, tensioni, blocchi emotivi e ciò porta man mano a terminare la relazione. Per questo non focalizzarti sulle colpe proprie o altrui, perché il senso di colpa non facilita affatto il processo di guarigione poiché non fa altro che alimentare la rabbia verso l’altro (se siamo stati lasciati) e verso se stessi (se abbiamo lasciato).

-         Non reprimere le tue emozioni. Esprimi appieno le tue Emozioni. Accogli e accetta TUTTE le emozioni che ti pervadono, anche le emozioni più spiacevoli: la paura, la rabbia, la malinconia, la tristezza. Non reprimere e non negare le tue emozioni agli altri e né tanto meno a te stesso/a. Trova il modo di condividere ed esprimere le tue emozioni parlandone con gli altri, con amici, familiari. Non isolarti. Cerca o crea modalità alternative per esprimere le tue emozioni. L’arte e la creatività possono aiutarti e facilitarti nell'esprimere le tue emozioni, perciò risveglia la tua creatività, scrivi, disegna, danza, canta, dipingi…

-          Scrivi un diario. La scrittura consente di rendere più chiari e consapevoli i propri pensieri, di dargli una forma e collocarli in uno spazio; inoltre alleggerisce le tensioni e riordina pensieri ed emozioni. La scrittura può donare sollievo e divenire terapeutica. Anche se il flusso inizialmente può essere confuso e caotico, come i sentimenti che si provano, ti renderai conto che la scrittura ti aiuterà a sentirti e raccontarti in modo diverso. Perciò prendi un quaderno e una penna e racconta, Raccontati!

-          Sii grato alla vita.  Apprezza tutto quello che ti circonda, tutto quello che hai creato e costruito. Sii grato per quello che sei e quello che hai. Dai valore a tutto quello che stava e sta oltre la relazione con il tuo ex:  i tuoi amici, i tuoi familiari, il tuo lavoro, la scuola, l’università.

-          Il chiodo scaccia chiodo non sempre funziona. Spesso ci si aggrappa precocemente ad un’altra persona, alla voglia di intraprendere subito una nuova relazione, forse per paura di rimanere soli, o per sentire meno dolore, utilizzando spesso involontariamente l’altra persona per riempire quel vuoto immenso lasciato dalla relazione passata. Questo tipo di storie possono lenire solo brevemente o apparentemente il dolore, ma un dolore non pienamente elaborato non ti permette di diventare un partner consapevole, rischiando di investire tempo ed energie in una relazione che in realtà non ti appartiene, non ti completa, non ti soddisfa.

-          Preparati a cambiare: la perdita implica inevitabilmente un cambiamento, perciò in qualche modo devi prepararti a cambiare, ad  auto-riprogrammarti. Devi riprogrammare te stesso e tutta la tua vita. La tua vita cambierà. Lo sforzo maggiore è proprio quello di cambiare la tua prospettiva di vita, il tuo modo di guardare te stesso e la tua vita.

-          Se serve, chiedi aiuto e Supporto Psicologico. La rete di amicizie, gli affetti più significativi sono una risorsa molto importante per parlare della tua storia, per confrontarti e avere una visione più ampia della tua situazione. In alcuni casi può servire un aiuto più strutturato e professionale per:

·       elaborare e gestire il DOLORE della perdita e dell’abbandono
·       comprendere meglio quello che è successo, da un altro punto di vista
·       esprimere pienamente le tue EMOZIONI, senza giudizio
·       capire come ti relazioni all'altro, se in maniera disfunzionale e perché
·       individuare e valorizzare le tue RISORSE interne
·       accrescere la tua AUTOSTIMA, soprattutto se si è stati lasciati
·       elaborare l’eventuale sensazione di fallimento
·       per RICOMINCIARE.



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